Assunta Giacchetti

SCHEGGE DI VITA


Tra sogno e vita, viaggio ed approdo, il non-più della memoria e il non-ancora della speranza ( e dell'attesa), si muove e s'intride l'urgenza interiore ed espressiva che sta alla base dell'ispirazione poetica di Assunta Giacchetti. E' “la malinconia che scioglie un inutile anelito di quiete”, quando “la vita s'infrange” tra le “irte scogliere”, “gelo”, “nebbia”, “maschere” e “finzioni”, alla ricerca di un arcano senso che s'intravede, sospirando, dal nulla, dalle cui “opache lande” s'inarca il vento schiarente, il “punto invisibile” ed emergono “varchi” di salvezza e di liberazione, abbracci e nidi caldi e quieti: una voce sospesa, “antica”, fatta di parole innocenti e di rinascite, quanto la notte( “lunga, tenera, vaga”) dà riposo al corazziniano “amaro calice” dell'esistenza, vibrando “stille” tra “schegge , rocce” ed “antiche pietre”(simboli insistenti, quasi assillanti ed ossessivi nell'immaginario poetico di Giacchetti).
A leggere poco in controluce, si capisce che Assunta ha assorbito i ritmi, le cadenze, le frante scansioni dell'Allegria di Ungaretti, ha assaporato certi luoghi pascoliani (basti pensare ai temi-simbolo presenti “Sulla cima del monte” o alle suggestioni fonico-onomatopeiche di “Al lavatoio pubblico” o certi richiami di “Alcyone” ed echi montaliani (vedi in particolare “Antiche sere d'inverno”, “La spiaggia”,”Nostalgia d'estate”), o ancora, alcune movenze e stilemi leopardiani (la rima semantica “affanni-inganni”) o anche mutuati da Saba (il “pianto” risolto in “canto”).
Il mondo è accettato in modo disarmato, ma non conciliante, semmai ossimorico: le vertigini, le attrazioni simboliche tra luce e tenebra, colpa e innocenza, quotidianità e infinito, formano il “segreto” della poesia di Assunta Giacchetti, da cui non è possibile distrarsi se non a costo di rimozioni e dimenticanze: ma Assunta non vuole dimenticare, i “luoghi della memoria” affiorano e afferrano e ricostruiscono un vissuto, personale ed esistenziale, ma che coinvolge la natura e l'anima, in una dimensione spirituale in cui allo spavento o alla paura del baratro o dello smarrimento, del sogno che sembra precipitare, fa da scudo l'io del poeta che vede, vive, prende respiro, si difende, e si esprime nell'amore per le cose, gli affetti familiari e domestici, le persone care, le amicizie e le esperienze di vita e di lavoro, per la scoperta delle tradizioni e memorie paesane, o anche la cronaca, sia essa la più cruda e insensata, per le “occasioni” dell'esistenza di tutti i giorni o derivate da fatti ed eventi di ampia rilevanza, o, infine, per “i bambini” della scuola elementare, le cui cantilene e filastrocche fiabesche sembrano assumere la funzione di una sorta di antidoto fantastico di purezza e di immediatezza rispetto ad un mondo ormai contaminato e inquinato dalle radici. Ombre vive e felici, immacolate eppure oscurate da un tempo straziante e promiscuo. A volte è duro e scheggiato il discorso poetico di Assunta Giacchetti, martellante e anaforico su oggetti–simbolo o visioni che suggeriscono dimensioni contrastive, conflittuali di frattura o rottura, ma che non vanno mai al di là di una sintassi controllata e sempre sorvegliata, e di un lessico che alterna il parlato all'aulico (con l'uso classicheggiante ,e insieme spiazzante, di parole e sintagmi come “ippogrifi alati”, “opra”, “icaree piume”, “speme”, “tema” “fola”, “ilota”, “prometeico raggio”,”erma” ecc.), la brevità e l'essenzialità ad un fraseggio più ampio e dipanato o stroficamente costruito ed atteggiato, il prevalente verso libero a rare ma pregnanti rime classicamente evocate, lo scatto metaforico all'intenerimento, ai toni diminutivi, a volte vezzeggiativi.
La parola, comunque, è sempre salutare e benefica, catartica, anche se nasce da tormento e sforzo ed è specchio di una malattia che, ungarettianamente, “può solo scegliere di morire, vivendo”, che afferma e che vuole, religiosamente, la vita: una fede sommessa nell'unica prospettiva umana di riscatto rispetto alla soggezione al destino: uomini e natura spariscono e si rinnovano, rinascendo senza sosta, sempre. La parola esprime, così, il suono di una corda segreta, le vibrazioni di un male che non si confida, ma si affida solo al suo annuncio testimoniale, in quanto indicazione o illuminazione che la “voce” (ora tenue e condensata, ora più espressionistica ed aspra) che nomina e fa vivere le cose, riesce a veicolare in un verso trattenuto e insieme incalzante, lirico, a volte più dilatato e discorsivo, che raccoglie e racconta le sfide dell'esistenza e i suoi ansiosi e appaganti sogni, le sue misteriose ed asmatiche eppur affabili e dolci, amabili illusioni, le sue assenze-presenze, i suoi danteschi e purgatoriali inferni.
La poesia di Assunta non è dunque poesia di pura e crepuscolare nostalgia o melanconia, ma affronta e abbraccia le cose del mondo (soggettivo, oggettivo, naturale) e gli eventi della contemporaneità, senza dir loro addio, ma interiorizzandoli con grazia e totalità, per cui la parola, rappresa o abbagliante, stridente o delicata, si stacca dal linguaggio, dalle categorie, dalle pur presenti connessioni culturali, per divenire lampo fugace, enigma simbolico di uno spazio insidioso e di un tempo di dispersione, ma anche caldo sguardo che cerca di penetrare, con stupore e brividi fulminei, con timore e tremore, nei misteri dell'essere e dell'esistere, nelle loro rime terrene, nelle loro cifre celesti.

Franco Di Carlo


Collana "Gli Emersi - Poesia "
pp.112 €14,00
ISBN 978-88-7680-522-6

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