La poesia d’amore
fra tradizione e modernità

di Luigi La Rosa


La poesia. L’amore. Due universi palpitanti e vicinissimi. Due cosmi in perenne comunicazione: le energie dell’uno hanno abitato e animato continuamente le geografie interiori dell’altro. Il corpo sognante, il corpo mistico dell’uno ha performato e consolidato l’eterea fisionomia dell’altro - ispirandola, nutrendola, animandola. Donandole carne e sangue. Trasmettendole anima, passione, visceralità.
Con la scrittura il sentimento d’amore si è fatto parola - una parola vibrante e infinita che supera la lunga notte dei tempi, proiettandosi in direzione di un futuro ulteriore, chimerico e inimmaginabile.
Nella raccolta Tra un fiore colto e l’altro donato la lirica d’amore è vergata in una potente linea rossa che si perde nelle memorie dell’antichità. Nel crepuscolo di tutte le umane cose. E ci avvolge, facendoci eternamente oggetto della sua indagine conoscitiva, della sua ermeneutica magica.
Ha valenze policrome, echi di penombra, risvolti attraverso i quali sarebbe possibile compilare un’intera storia della letteratura. Ed è al tempo stesso ritorno infinito a un unico rapporto tra due esseri che nel dire poetico trovano giustificazione al reciproco bisogno di donarsi e di accogliersi. Che nel miracolo del verso raggiungono la pienezza di una dolorosa, tormentata, comunque appagante trascendenza esistenziale.
L’amore domina anche le pagine dei poeti antichi. Di Omero, di Virgilio, dei latini, dei primi tragici greci. Quale altro ideale rappresenterebbe lo stesso Ulisse di ritorno alla “pietrosa” Itaca di foscoliane memorie, se non il bisogno di unirsi nuovamente alla donna abbandonata, l’amante il cui trasporto supera di gran lunga il fascino del viaggio e il mistero impagabile dell’altrove. Quel primitivo tornare alle radici degli affetti sancisce in modo inequivocabile ogni nostro possibile ritorno, suggella ogni nostalgia dettata dalla necessità di amare.
L’amore classico supera di gran lunga qualsiasi altro elemento del racconto a esso coevo, imponendosi nelle categorie della poesia epica, di quella elegiaca, della satira morale. Diviene il motore stesso di un canto ininterrotto e polifonico che, inoltrandosi lungo gli scenari del nebbioso medioevo dantesco e del variopinto rinascimento ariostesco, conquista i cuori romantici di un Ottocento non ancora lontano da noi e non del tutto definitivamente superato.
Come in Foscolo, pure in Leopardi l’amore è un moto indefinibile del cuore che accende ma mette a nudo le fragilità dell’esistere, la vacuità di ogni speranza umana. È un sentimento sublime e fragilissimo, un movimento del cuore che perisce insieme al gelo dell’indimenticabile “verno” recanatese. Ed è ancora al centro del magico racconto della scrittura, abita ancora la dimensione dell’uomo e del poeta moderno.
L’amore cantato dai poeti degli ultimi due secoli, e che trova testimonianza in Tra un fiore colto e l’altro donato, si è arricchito di simbolismi e di contraddizioni. Fuoriesce dalle corti piene di affreschi, scende dalle pareti coperte di amorini, per furoreggiare all’interno del sottobosco arido dell’esistere. La donna, l’essere angelico che Petrarca aveva guardato come possibile direzione del cielo, diviene nelle pagine di Baudelaire l’essere duale, l’angelo-demone che divora l’amato, la sola perdizione che è possibile perdonare a chi ha il vezzo d’invocare le figlie dell’Olimpo.
Qualche volta è una creatura della strada, una deliziosa Venere nera sbucata dai vicoli di una notte parigina senza fondo. Altre volte, in maniera sofisticata e picaresca, è una “signorina Felicità” che ci invita al miraggio delle cose. Può essere, come in quella splendida pagina di Anne Sexton (la poetessa americana morta suicida dopo un’esistenza all’insegna del dramma e del malessere), “là / per te con maestria fusa e colata / per te forgiata fin dalla tua infanzia, / concreta come una pentola di ghisa”.
L’antologia Tra un fiore colto e l’altro donato si colloca pienamente all’interno di questa illustre tradizione letteraria e in ogni caso resta l’erede di una memoria millenaria, con venti secoli di storia alle spalle e l’intatto quanto enigmatico sorriso d’angelo.
Il filo tenace a cui il poeta contemporaneo sa di aggiungere il proprio canto laborioso. Un contributo. Il verso risonante mentre sale la sera.